Le intricate ramificazioni del polittico di Pina Della Rossa, “corone di spine” su muri e selciati della scena urbana, sono frammenti di una natura disseccata che porta memoria della sua efflorescenza perduta. Sono “nervi scoperti” di una decomposizione che dispone il suo visibile enigma, in una memoria obliante che nell’arte rinasce come senso ancora del possibile. Immagini che compongono una prismatica visione come di sguardo che cerca, dentro i resti delle cose, un passaggio, una visione nella quale la luce è sempre lux umbrae, come in un’attesa ‘redentiva’ dalle sue ‘cavità’ umbratili all’aperto dell’essere. Dove l’identità è memoria insieme di caduta e rinascita. Se ogni espressione si fa linguaggio, in essa si dà già il suo disdirsi. Proiettata sul suo interrogarsi, l’immagine si fa intravedere anche nel suo oltrepassarsi. Come l’inestricabile corpus di lignea vegetazione, nel suo essere spaesamento dello sguardo che si posa sulla sospesa natura morente, evoca anche il suo rovesciamento in natura naturans, in erotismo dello sguardo sulle cose, quando sconfina, trascende ciò che vede e si riflette sull’invisibile che traluce.
2020 – Dal testo in catalogo della mostra “MATER NOSTRA”, a cura di Franco Cipriano, Palazzo Ferrari, Parabita – Lecce